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LETTERE AL DIRETTORE

LETTERA DI ANDREA RIZZI* CHIUSURA DEL PUNTO NASCITA DI CAVALESE (TN): LA NOSTRA “PICCOLA ODISSEA”

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10.45 - venerdì 17 novembre 2017

Io e mia moglie abbiamo avuto la nostra prima figlia nel marzo 2015 a Cavalese, quando il punto nascite funzionava ancora a tempo pieno. Fu un parto piuttosto lungo e difficoltoso, seguito da difficoltà con l’avvio dell’allattamento e da un piccolo problema ginecologico; tuttavia l’esperienza era stata per noi molto positiva: l’assistenza efficace e qualificata, l’ambiente tranquillo e familiare. Il fatto di essere vicini a casa aveva consentito a me di stare molto vicino a mia moglie e mia figlia e a loro di giovarsi dell’appoggio di tutta la famiglia; inoltre la presenza di una struttura idonea ed efficiente vicina a casa ci aveva consentito di affrontare con serenità le difficoltà di quei primi mesi.

La nostra seconda figlia è nata invece nell’agosto 2017, con il punto nascite valligiano ormai completamente chiuso: abbiamo quindi scelto Rovereto, confidando che in un ospedale più piccolo avremmo avuto maggiore tranquillità. Fortunatamente (a differenza di altri) non abbiamo avuto problemi con il viaggio. Anche l’assistenza al parto ci è sembrata ottima; molte differenze sono invece emerse nei giorni e nei mesi successivi.

Nei giorni del ricovero di mia moglie e di mia figlia il reparto era al completo, il personale oberato di lavoro e l’assistenza ridotta all’essenziale: e loro, non avendo problemi particolari, anno ricevuto un’assistenza davvero minimale, poiché giustamente veniva data precedenza a chi aveva difficoltà. Nel frattempo, io ho passato più tempo in macchina che assieme a loro, mentre il resto della famiglia non è riuscito a scendere a Rovereto nell’unica ora di visita consentita: ovviamente a mia moglie è mancato un po’ di sostegno a noi tutti la possibilità di condividere questo momento così bello.

Nel frattempo sono sorti ancora problemi con l’allattamento, che non è stato possibile affrontare efficacemente prima del ritorno in valle: anche stavolta le ostetriche di Cavalese si sono dimostrate eccellenti, ma con l’importante limitazione dell’orario d’ufficio. Purtroppo mia moglie ha sofferto di ricorrenti mastiti e l’episodio più grave è capitato proprio una notte tra sabato e domenica.

La mattina l’ho accompagnata al pronto soccorso di Cavalese, con forte dolore al seno, difficoltà ad estrarne il latte e febbre a 40°. Nei giorni festivi è presente in reparto soltanto un ginecologo di guardia, il quale ha prescritto una terapia antibiotica e ha fornito, contattando telefonicamente un’ostetrica, qualche sommaria indicazione: abbiamo dovuto quindi attendere il lunedì per poter liberare bene il seno, con relativo disagio.

Ciliegina sulla torta, l’accesso al Pronto Soccorso in codice verde ha comportato il pagamento di un ticket di 50 euro… come se una puerpera con una mastite e febbre alta potesse rivolgersi al medico di base o prendere un appuntamento per una visita specialistica! L’infezione si è poi ripresentata – sfortuna – nella notte tra 31 ottobre e 1 novembre. La mattina abbiamo chiamato Cavalese, ma, in considerazione delle limitazioni derivanti dalla giornata festiva, stavolta il ginecologo ci ha indirizzato S. Chiara. Una volta arrivati, dovevamo cambiare e dar da mangiare a nostra figlia di tre mesi, ma non vi sono stanze predisposte per queste esigenze: siamo stati quindi costretti a cambiarla su una sedia in corridoio.

Quando abbiamo chiesto dove gettare il pannolino sporco la risposta è stata: non qui. Dopodiché mia moglie è stata vista da un’ostetrica, che le ha fatto svuotare il seno con il tiralatte e ci ha comunicato, non senza imbarazzo, che non vi erano letti disponibili per tutte le donne con bisogno di assistenza e quindi ci ha proposto una brandina in corridoio, in attesa della visita ginecologica.

La dottoressa ha visitato mia moglie ed eseguito un’ecografia di controllo, quindi ha prescritto l’antibiotico. Vedendosi nell’impossibilità di proseguire nell’alternanza di mastiti e antibiotici, mia moglie ha chiesto di interrompere l’allattamento: il medico ha quindi indicato all’ostetrica di eseguire uno svuotamento manuale completo dei seni e ci ha prescritto un farmaco da prendere subito dopo, indicando che avremmo potuto acquistarlo nella farmacia di fronte all’ingresso dell’ospedale.

Tuttavia l’ostetrica, non avendo tempo, ha soltanto mostrato velocemente a mia moglie come procedere da sola al drenaggio, ovviamente a casa data la mancanza anche di spazi. Anche la farmacia era chiusa per la festa. Noi siamo rimasti veramente spiazzati: mia moglie non si sentiva in grado di svuotare da sé il seno, avremmo dovuto metterci alla ricerca di una farmacia di turno e nel frattempo, ovviamente, la bambina avrebbe dovuto di nuovo mangiare ed essere cambiata… abbiamo preferito tornare a casa, acquistare i farmaci in valle e nei giorni successivi, a Cavalese, abbiamo potuto finalmente contare sul supporto di un’ostetrica. In mezzo a tutto ciò, la ginecologa di Trento ha insistito per rivedere mia moglie dopo 48 ore, per controllo.

Abbiamo fatto notare che, due giorni dopo, ci sarebbero stati ostetrica e ginecologo anche a Cavalese, senza necessità di ripetere le avventure di quella giornata e di aggiungere ulteriore carico di lavoro a un reparto già oberato, ma ci è stato risposto che sarebbe stato meglio tornare a Trento.

Ovviamente non abbiamo seguito il consiglio e abbiamo trovato assistenza più che adeguata all’Ospedale di Fiemme, nei giorni – feriali – seguenti. Anzi, se debbo dire la verità, la percezione che abbiamo riportato ad ogni recente accesso al “nostro” reparto di ginecologia e ostetricia è stata di netta sottoutilizzazione del personale presente e della stessa struttura: senza le nascite e i controlli delle gravidanze a termine, a ostetriche e puericultrici non rimane molto da fare, le camere restano desolatamente vuote e pressoché l’unica attività che vi si svolge riguarda controlli programmati.

Ora, vorrei sottolineare che tutto il personale medico e sanitario con cui abbiamo avuto a che fare si è dimostrato competente e premuroso. Sia a Trento che a Rovereto, però, ci è parsa assolutamente evidente una grave difficoltà dei sanitari a svolgere un carico di lavoro eccessivo, che di fatto impedisce di prestare un’assistenza adeguata a tutte le mamme che ne hanno bisogno. Al S. Chiara abbiamo visto solo camere piene – da tre, quattro e anche sei letti, con le relative culle dei neonati accanto – e ostetriche trafelate.

L’impressione – sicuramente parziale – che abbiamo tratto dalle nostre esperienze è che l’accentramento di quasi tutti i parti della provincia in due strutture non sia stata accompagnata dall’indispensabile riorganizzazione; ciò, ovviamente, torna a danno anche delle partorienti di città che vedono peggiorata l’assistenza.

Il momento del parto, i giorni seguenti e i problemi che si possono manifestare nel periodo successivo rappresentano raramente vere criticità dal punto di vista medico, ma costituiscono invece sempre un periodo delicato, in cui la neomamma e il bambino avrebbero bisogno di essere accuditi e accompagnati con pazienza, di riposare, di condividere con la famiglia la gioia della nascita, di un ambiente sereno: a noi pare evidente che tutto ciò manchi nel modo più assoluto.

Se si sceglie di accentrare un servizio, bisognerebbe almeno tenere conto del disagio che ciò comporta e prendere delle misure per limitarlo: già non è agevole viaggiare, per una donna al termine della gravidanza o per una mamma che allatta, se poi tutto il comfort che le si offre in ospedale è una sedia di legno in corridoio, è lampante che l’esperienza sia negativa. Se si impone a chi abita a 70 o magari a 120 km da Trento di percorrere questa distanza per poter avere un supporto idoneo, quantomeno l’ospedale deve essere in grado di fornire assistenza adeguata e idonei spazi di attesa.

Inoltre si potrebbe avere la sensibilità di non proporre ulteriori trasferte per controlli che possono tranquillamente essere pianificati sul territorio. In conclusione, possiamo anche comprendere le ragioni che inducono ad accentare determinati servizi; ma ciò dovrebbe essere fatto almeno senza compromettere la prontezza e l’efficacia di quegli stessi servizi, tenendo in considerazione anche i disagi che derivano dalla distanza e senza mettere da parte gli aspetti umani e relazionali. Anche per questo Cavalese ha bisogno di veder riaprire il suo punto nascita 24h/24h e 7 giorni su 7 il prima possibile!

 

 

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Andrea Rizzi

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