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LANCIO D'AGENZIA

CONSIGLIO PROVINCIALE TRENTO * PRESENTATO IL VOLUME ‘ COSA VIDERO QUEGLI OCCHI ‘ : DORIGATTI, ” HO LAVORATO CON PASSIONE, ONESTÀ INTELLETTUALE E MODESTIA “

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02.16 - venerdì 26 ottobre 2018

Presentato in sala Depero il volume “Cosa videro quegli occhi”, l’autobiografia dei trentini nella Grande Guerra. L’ultimo atto di Dorigatti come Presidente del Consiglio: “Ho lavorato con passione, onestà intellettuale e modestia per il Trentino”.

 

 

Con la presentazione del libro “Cosa videro quegli occhi”, una grande autobiografia del popolo trentino nella Grande Guerra, si conclude l’impegno culturale del Consiglio e il ciclo di eventi per il recupero della memoria nel centenario della Prima guerra mondiale. Il Presidente Dorigatti ha colto questa occasione per salutare non solo il pubblico che ha affollato la sala Depero, ma i trentini. Dorigatti ha sottolineato l’importanza di questo suo ultimo atto alla guida del parlamento dell’autonomia affermando che, contribuendo a portare alla memoria la nostra storia, “l’istituzione consiliare ha portato a compimento una parte, magari modesta ma non irrilevante, del suo dovere d’essere luogo di custodia democratica del passato per essere, nel contempo, operosa officina del futuro”. Un’azione, ha continuato, particolarmente importante oggi, perché ” solo un decadimento della memoria comune consente l’uso di simboli e parole che speravamo affidati ormai ai libri di storia e che invece tornano prepotentemente ad esibirsi dai balconi e con gli slogan di certo arrogante menefreghismo”.

Poi Bruno Dorigatti, non senza emozione, ha parlato della sua esperienza alla guida del Consiglio. “Dopo un lungo periodo di lavoro e di passione – ha detto -, si conclude qui la mia personale esperienza dentro le istituzioni e alla guida dell’Assemblea legislativa della nostra speciale autonomia. Non è questa la sede per bilanci e analisi, ma questo è però un luogo storico del nostro sistema di autogoverno e sono quindi onorato di poter concludere in quest’aula il mio modesto servizio a favore del Trentino, della sua gente, della sua specialità. Conscio che forse avrei potuto fare anche di più e consapevole però della passione e dell’onestà intellettuale del mio agire”. Parole che sono state salutate da un lungo applauso dai presenti e che il Presidente ha voluto pronunciare nel corso della presentazione del libro perché, ha concluso, “libri come questo hanno una rilevanza che va bel al di là del puro valore del racconto storico, perché dicono quali effetti produce la cecità delle retoriche; l’affermazione della ragione del più forte; la rinuncia del dialogo”.

 

 

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L’autobiografia di un popolo.

Un volume “Cosa videro quegli occhi” di 556 pagine, che raccoglie anche le fotografie che sono state esposte alla Manifattura di Borgo Sacco, frutto del lavoro del Laboratorio di storia di Rovereto, con la collaborazione del Consiglio e della Provincia. Un libro nel quale sono raccolte centinaia di racconti di guerra scritti dai soldati, dalle donne profughe, dai militarizzati nel corso della Grande Guerra. Un grande lavoro di rigattiere ha detto lo storico Diego Leoni. Ma un lavoro delicato e prezioso. “Nella lingua giapponese – ha affermato – kin significa oro e tsugi riparazione; e kintsugi è l’arte di attaccare con l’oro i cocci dei vasi rotti, rendendoli ancora più preziosi di quando erano intatti”. Difficile trovare una definizione migliore di questo imponente lavoro che, come ha ricordato lo storico roveretano, ha messo assieme ricercatori e ricercati formando una grande autobiografia dei trentini in un momento storico fondante della nostra identità.

Quinto Antonelli, uno dei pionieri della storiografia che dalla metà degli anni ’80 ha posto l’attenzione sulla scrittura popolare, ha raccontato in un denso saggio cosa videro quegli occhi. Gli occhi dei soldati – contadini che nell’agosto del 1914 partirono dalla stazione di Trento per raggiungere la lontanissima Galizia polacca, allora parte dell’Impero degli Asburgo. Lontanissima geograficamente, ma ancor più lontana culturalmente. Quelli che venivano chiamati ruteni venivano visti dai trentini con un certo disprezzo, perché poverissimi. Le scritture contenute nel volume, ha ricordato Antonelli, parlano anche di una diffuso e profondo sentimento antisemita originato dalla predicazione cattolica che si riaccese tra i soldati trentini al contatto con i numerosi ebrei che popolavano quella regione dell’Impero.

Su tutto il trauma delle battaglie terribili contro i russi, anche loro spesso disprezzati perché miseri; i maltrattamenti subiti dagli ufficiali di lingua tedesca e dagli ungheresi. La prigionia e, nel 1917, l’esperienza della rivoluzione d’Ottobre. E ancora la difficoltà di ricostruire un’identità, prima di tutto nazionale quando ai prigionieri austriaci di lingua italiana venne data la possibilità di scegliere l’Italia. Un mondo sotto sopra lontanissimo dalla piccola patria che proprio per questo, ha ricordato Antonelli, venne idealizzata come una sorta di angolo felice tirolese o austriaco governato con saggezza e umanità. Mito, ha ricordato ancora nel corso della lettura del suo saggio, che è sopravvissuto fino ai nostri giorni. Infine, il dramma del ritorno; la diffidenza dei nuovi padroni di casa italiani. I drammi degli internamenti all’Asinara o, nel caso di un gruppo di 400 primierotti, a Isernia in Molise.

Narrazioni che mostrano anche il grado di cultura dei trentini, che non derivava solo, ha ricordato Antonelli, dalla capillarità del sistema scolastico elementare, ma anche dalla vivacità culturale della società trentina dell’anteguerra. Una grande opera quella che è stata presentata in sala Depero, che, ha ricordato Leoni, conclude un lungo ciclo durato 30 anni che il Laboratorio di Storia ha attraversando riportando alla luce l’esperienza dei trentini lungo il tragico arco delle guerre.

 

 

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Le note di guerra del coro della Sat.

L’incontro di questa sera è stato arricchito dal coro della Sat che ha cantato canzoni di guerra e dalla poetessa badiota Roberta Dapunt, che si è detta onorata di accompagnare la presentazione di questo libro e ha pronunciato una lettura che, a metà tra prosa e poesia, ha ripercorso l’angoscia e il dolore della guerra. Un volto nudo, un corpo che muore e che fugge da miseria e disperazione, il corpo di una donna, il corpo di un adolescente, il corpo di ognuno di noi che qui in questo tempo, con il nostro atteggiamento di distacco, diventiamo oggi complici di reiterata brutalità e dolore. La triste storia raccontata in questo libro, per ricordare ciò che l’uomo ha subito e commesso, dimostra che poco abbiamo imparato. Dapunt, in conclusione, ha messo in guardia “dall’indifferenza offensiva e irritante di questo tempo, che guarda in silenzio e si ripiega su se stessa, è muro e confine”.

 

 

 

 

 

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