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ANDREA RIZZI * PUNTI NASCITA PERIFERICI: ” INACCETTABILE CHE FASSANI E FIEMMESI NON VENGANO TRATTATI ALLA STREGUA DEI CITTADINI DELLA VAL DI NON O DEL CADORE “

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17.23 - giovedì 29 marzo 2018

Nel corso degli ultimi mesi ho appreso, con un certo sconcerto, alcune posizioni sull’annosa questione della chiusura dei punti nascita periferici e di quello di Cavalese in particolare.

A gennaio, una statistica avrebbe dimostrato che le mamme delle valli sarebbero ben contente di partorire in città.
In realtà, l’apprezzamento delle neomamme si rivolgeva unicamente al percorso nascita con ostetrica dedicata: iniziativa nata anche per compensare la chiusura dei punti nascita periferici e il cui successo si deve innegabilmente proprio a questa circostanza. Il questionario in parola, peraltro, l’abbiamo compilato anche io e mia moglie: sulla bellezza di 41 domande, nemmeno una riguardava la sede del parto, l’assistenza al parto o il puerperio in ospedale, neanche alla lontana… anzi, direi che l’Apss si è ben guardata dal chiedere la nostra opinione sul punto!

In ogni caso vorrei assicurare che, a differenza di qualche dirigente, le mamme e i papà di Fiemme e Fassa hanno le idee ben chiare: far nascere i nostri figli in città non ci piace proprio per niente, i confortevoli e supersicuri parti in ambulanza di cui abbiamo notizia nei giorni di cattivo tempo ci terrorizzano, a Trento e Rovereto tutto abbiamo visto tranne un’assistenza correttamente dimensionata e adatta alle necessità di chi arriva da lontano, la foresteria messa a disposizione nei pressi dell’ospedale Santa Chiara è un palliativo ridicolo e… il servizio che ostetriche, ginecologi e tutto il personale assicurano sia col percorso nascita che nei reparti (dove e quando funzionano) è ottimo nonostante la riorganizzazione, le linee guida e le bislacche idee di lor signori – non certo grazie a loro!
Nei giorni scorsi, invece, leggo la tesi secondo cui la riapertura del punto nascite di Cavalese sarebbe ormai inutile, stante il ridotto numero di parti nelle Valli dell’Avisio; anzi si tratterebbe di un argomento buono solo per il dibattito politico e di scarso interesse per gli stessi valligiani.

Ora, l’innegabile calo delle nascite dovrebbe destare preoccupazione in una politica provinciale che avesse un minimo di lungimiranza, da cui sarebbe lecito attendersi qualche intervento per cercare di invertire la tendenza. Ridurre, peggiorare e allontanare dalle valli i servizi legati alla gravidanza, al parto e alla cura dei bambini va invece nella direzione opposta: è un ulteriore incentivo a non fare figli, o a spostarsi in zone meglio servite, con ovvie e drammatiche conseguenze nel lungo termine per le aree di montagna.

Chi poi osserva che molte neomamme delle nostre valli hanno spesso dimostrato di preferire Bolzano e Merano, dovrebbe considerare che questo è anche il risultato di una demenziale campagna comunicativa portata avanti anni fa proprio dalla Provincia (prendo a prestito le parole usate dal Consigliere Cia in conferenza stampa qualche giorno fa) per convincere i futuri genitori ad abbandonare gli ospedali periferici, descrivendoli come poco sicuri. Meglio quindi stare bene attenti a non confondere le cause con gli effetti: se il numero dei nuovi nati è in diminuzione e aumenta la mobilità sanitaria passiva verso l’Alto Adige, ciò è il risultato di anni di tentativi (infine coronati da successo) di chiudere i punti nascita periferici trentini.

Certo i costi di un piccolo reparto possono essere un problema, anche in rapporto ad un relativo sottoutilizzo. Ma queste sono criticità che andrebbero affrontate in modo serio: magari considerando anche che non stiamo parlando di due valli esattamente irrilevanti per il bilancio e l’indotto turistico provinciale; ricordando che la carenza di medici rianimatori, pediatri e ginecologi a Cavalese rende più incerta e difficoltosa anche l’assistenza sanitaria generale per i residenti e i turisti delle due valli; osservando che l’altra faccia dei tagli è l’innegabile congestione di punti nascita centrali che non sono stati conseguentemente adeguati; magari chiedendoci come mai l’Apss non sia in grado di imporre ai propri dipendenti una banale turnazione territoriale né di offrire un minimo di certezza ai bravi professionisti che pure (al contrario di quanto scrivete) anche negli ultimi anni si sono interessati a questo negletto punto nascita.

Né mi pare possa dirsi che, sul punto, manchi il coinvolgimento dei valligiani: a me, che da queste parti ci vivo, pare di non ricordare negli ultimi decenni una questione politico-sociale che abbia sollevato una mobilitazione e un malcontento paragonabili. Un discorso meramente politico e che interessa ben poco la gente, mi pare piuttosto quello sul nuovo ospedale, che torna ciclicamente in auge in periodo pre-elettorale: anche perché, se la sanità provinciale proseguirà sulla strada dei tagli e delle centralizzazioni, finirebbe per essere poco più di un costosissimo eliporto.

Ciò che più di tutto mi pare assurdo, è l’ingenua convinzione che la sicurezza delle partorienti possa davvero giocarsi solo su criteri numerici astratti. Nel giro di tre anni, siamo passati da un’organizzazione delle nascite che non presentava nessuna criticità medica a una situazione in cui molte famiglie vivono con apprensione la prospettiva di una corsa contro il tempo, magari sotto la neve o nel traffico di ferragosto; a donne che partoriscono a bordo strada e padri che si scapicollano giù per la SS48 all’inseguimento dell’elicottero; a puerpere ricoverate in un reparto diverso da quello del proprio bambino perché la maternità del Santa Chiara è al completo; a madri (mia moglie) costrette ad allattare e cambiare un bimbo di pochi mesi in un corridoio dell’ospedale di Trento, nella vana attesa che qualcuno abbia il tempo di occuparsi della sua mastite; fino a quella poveretta che, dopo il pellegrinaggio di rito verso la città, è finita a partorire in pronto soccorso per affrontare un’ora di viaggio in ambulanza e un altro paio di attesa al Santa Chiara per una banale sutura vaginale e una visita di routine a un neonato sano, mentre al piano di sopra c’erano una sala parto e una maternità attrezzate di tutto punto, con ginecologo e pediatra in servizio.

Il direttore Bordon, poche settimane fa, si è premurato di precisare che tutto ciò è perfettamente conforme alle linee guida: il che conferma che queste normative non giovano tanto alla sicurezza dei pazienti, bensì a quella dei dirigenti medici, i quali potranno sempre affermare serafici, in qualsiasi evenienza, che non è colpa loro… è tutto conforme alle linee guida!

Da anni i vertici nazionali e provinciali della sanità ci ripetono, come fosse il Vangelo, che i piccoli punti nascita non sono sicuri.
L’accordo stato-regioni del 2010, firmato dall’allora assessore alla sanità provinciale Ugo Rossi, impose la chiusura di tutti quelli con meno di 1.000 parti all’anno. Successivamente la soglia venne abbassata a 500 parti nelle zone orograficamente difficili e il Ministero della Salute concede ulteriori deroghe, perché se la distanza dal punto nascita è eccessiva è più rischioso trasferire sistematicamente le partorienti piuttosto che far funzionare un piccolo punto nascita: ce lo confermò il dott. Jorizzo, responsabile del comitato percorso nascita nazionale, al Palafiemme.

Peraltro, ben prima che si cominciasse a stravolgerlo, il sistema dei (piccoli) punti nascita in Trentino vantava prestazioni eccellenti: motralità neonatale fra le più basse d’Europa, ricorso ai parti cesarei nettamente al di sotto della media nazionale, ospedali periferici che vantavano un servizio di prim’ordine, basti pensare che a Cavalese l’analgesia peridurale per le partorienti è stata disponibile ben prima e più ampiamente che non a Trento e Rovereto.

Insomma, non sembra che la soglia dei 500 parti/anno faccia la differenza fra la vita e la morte… eppure il punto nascita di Cavalese è bloccato in un pantano burocratico di prim’ordine: ritardi e omissioni nel reclutamento del personale, mancato tempestivo ricorso ai gettonisti che avrebbe potuto evitare la sospensione, conseguente intreccio di ulteriori requisiti tecnici che rendono sempre più difficile la riapertura… un garbuglio che induce i medici – quando l’Apss non lo fa direttamente – a guardare altrove, peggiorando ulteriormente la situazione.

Lasciando un ospedale con un bacino di utenti vicino alle 150.000 persone, con i turisti in alta stagione, senza un servizio continuo di pediatria, di ginecologia, di anestesia e rianimazione. Nell’attesa che si decida di potare qualche altro servizio inutile… Tutti a Trento, emergenze incluse. Ovviamente anche quando le condizioni meteo non consentono all’elicottero di levarsi in volo, o quando neve e traffico possono dilatare i tempi di percorrenza in ambulanza. In questi giorni una lettera degli albergatori ha giustamente sottolineato che ciò finirà col produrre danni anche alla nostra economia turistica.

Intanto, in Veneto 4 punti nascita continuano a operare sotto la soglia dei 500 parti, senza la presenza h24 di tutte le figure professionali previste dalle linee guida e senza che a nessuno venga in mente di spendere 700.000 euro per una sala operatoria destinata a rimanere inutilizzata e di cui la stragrande maggioranza dei blocchi parto italiani non è dotata.

Tutto ciò vi sembra ragionevole?
Io dico che è inaccettabile che fassani e fiemmesi non vengano trattati alla stregua della gente della Val di Non o del Cadore.
Che è assurdo che il Trentino abbia dovuto stravolgere un’assistenza al parto che funzionava in modo ottimale, per adeguarsi alle indicazioni di uno Stato che, mediamente, vanta indicatori nettamente peggiori.

Che la salute delle nostre mogli, dei nostri figli, di tutti noi che viviamo nelle valli di montagna, dei turisti che passano le ferie da noi, non possano essere ostaggio delle ottuse prese di posizione dei dirigenti medici o della burocrazia del ministero o di tagli economici dissennati (del tipo: togliamo pezzi di assistenza e intanto progettiamo un intero ospedale nuovo).

 

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Andrea Rizzi

(un papà residente nella valle di Fiemme)

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